Prodotti tipici - ANA Gruppo Alpini di Novara

IL CUORE PER AMARE E LE BRACCIA PER LAVORARE
GLI ALPINI ARRIVANO A PIEDI LA DOVE GIUNGE SOLTANTO LA FEDE ALATA
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Prodotti tipici

 
 
 

 
 
Biscottini di Novara
 
Questo prodotto ha una storia che risale a qualche secolo fa ma, nonostante approfondite ricerche, comunque, non si è riusciti a stabilire con certezza dove e come abbia avuto origine il famoso biscotto novarese. Dai monasteri femminili del XVI secolo, arrivano, comunque, le prime notizie dei biscottini. In quei luoghi, infatti, esistevano laboratori di pasticceria dove si preparavano ghiottonerie per i forestieri danarosi in transito. Proprio in questi monasteri, piuttosto numerosi prima del passaggio di Napoleone Bonaparte, alcune monache avrebbero, inventato la ricetta di “quel biscotto che avrebbe dato rinomanza al capoluogo novarese”.
 
In quei tempi, era costume (e durò sino alla grande guerra ), che nella prima domenica di Pasqua venissero fatte, a cura del clero della Cattedrale, della Basilica Gaudenziana e dei parroci della città, delle distribuzioni ai poveri di un pane di frumento denominato “Pane di Polla” (nome di donna o parola da ritenersi derivata dal latino “pollen”, ossia fior di farina.
 
Con l’affermazione della consuetudine, il dolce venne chiamato “biscottino delle monache di Novara” e tale rimase sino alla soppressione dei conventi, voluta appunto da Napoleone, nel 1800.
 
Le suore furono costrette a cambiare la loro vita e parecchie trovarono accoglienza presso le famiglie abbienti della città, dove trasferirono e diffusero le loro conoscenze culinarie. Da quel momento il segreto della confezione del biscotto cadde e il prodotto venne ben presto messo in commercio da un farmacista-droghiere, un certo Prina, che iniziò a venderlo nella sua bottega con il proprio nome: “Biscottino di Novara del Prina”.
 
In breve, si creò attorno al prodotto una libera e intensa concorrenza tra i pasticceri che perfezionarono il biscotto, soprattutto nella tecnica di cottura, tanto da migliorare la sua capacità di conservazione e da aprire, come logica conseguenza, la possibilità di spedizione lontano da Novara.
 
Quando si parla della storia dei biscotti di Novara non si può tralasciare, tuttavia, la storia del carnevale novarese e della Maschera di “Re Biscottino”; essa si snoda parallelamente e porta sul terreno dei valori simbolici che questo prodotto ha assunto.
 
Nel secolo scorso, l’espansione dell’industria chiamava maestranze dai paesi limitrofi, l’immigrazione accresceva la popolazione cittadina e dava inizio ai relativi problemi d’inserimento ed assimilazione. Proprio in quel periodo, un “comitato” composto da commercianti, professionisti ed esponenti della nobiltà, prese l’iniziativa di dare vita ad un rinnovato carnevale. Lo scopo era, evidentemente, quello di dare sfogo al clima di euforia che si era creato per i mutamenti sociali e che faceva di Novara una città moderna.
 
Ma questo carnevale era stato ideato anche per celebrare il nuovo corso dell’economia novarese, per onorare e fare pubblicità ai suoi protagonisti: gli “offalieri” ossia i pasticceri. In questo senso si capisce la scelta della nuova maschera : Re Biscottino.
 
Il biscotto viene così incoronato “simbolo della città” e tale resta fino ai giorni nostri.
 
Farina di grano, zucchero e uova freschissime: sono questi gli ingredienti dei "Biscottini di Novara", un dolce tra i più leggeri in commercio (pesano poco più di 2  grammi ciascuno), particolarmente adatti per essere intinti nel latte, nel caffè, nel tè e prelibati se inzuppati nel vino.
 
I biscotti vengono stampati su carta paglia con una speciale attrezzatura che deposita uno strato di impasto dello spessore di circa 2 millimetri. I fogli vengono, quindi, collocati in forno a temperatura di 270° C dove l'impasto cuoce in breve tempo (circa 3 minuti). Estratti dal forno vengono staccati dalla carta con una lama e sistemati in una camera di essiccamento nella quale sostano per circa mezz'ora alla temperatura di 50° C, subendo una seconda "cottura" (da qui il nome di bis-cotto). In passato veniva effettuata anche un'ulteriore tostatura del prodotto che gli conferiva un colore dorato su tutte e due i lati e un sapore particolarmente gradevole.
 
Nei primissimi tempi i "Biscottini di Novara" venivano venduti alla dozzina o al chilogrammo, le qualità più curate e meglio riuscite venivano confezionate avvolgendole a due a due con carta sottile. Oggi il prodotto viene presentato in scatole di cartone contenenti i biscotti avvolti in carta o in scatole chiuse ermeticamente che mantengono inalterata la freschezza del prodotto.
 
Ora i Biscottini hanno una duplice produzione: quella industriale e quella di piccoli laboratori, specializzati solo in quest'unico dolce.
 
 
Pane di San Gaudenzio
 
Il "Pane di San Gaudenzio" è una sorta di panettone prodotto e venduto a Novara, composto da farina, burro, zucchero, uova, uvetta sultanina e aroma di vaniglia.
 
E' prodotto da circa 40 anni, come attestato da alcune pasticcerie cittadine, inizialmente solo per la tradizionale festa patronale del capoluogo (22 gennaio), successivamente in qualsiasi periodo dell'anno.
 
 
Gorgonzola
 
Nel Novarese l'allevamento bovino è finalizzato alla produzione di latte, o meglio di un formaggio, il Gorgonzola, che ha origini lombarde ma che qui si è acclimatato al punto da far scegliere Novara come sede del Consorzio di produzione e tutela dal 1970.
 
Se è vero che l'epoca migliore per la sua produzione è l'autunno, sia per la temperatura mite che per il giusto grado di umidità dell'aria, è altrettanto vero che le moderne tecniche hanno fatto sì che si possa produrre eccellente gorgonzola in ogni periodo dell'anno. Proprio le caratteristiche particolari del prodotto fanno sì che, comunque, sia necessario un notevole intervento e controllo manuale.
 
Il gorgonzola è un formaggio erborinato (da "erborin", che in dialetto significa prezzemolo), ottenuto con latte intero di vacca; nel passato si usava la tecnica che impastava due cagliate, complicata e lenta, mentre oggi è stata messa a punto una tecnica che utilizza il latte di una sola mungitura, addizionato di fermenti lattici e spore di penicillium.
 
Attraverso particolari fasi di lavorazione, si ottengono forme di 14-18 chili (ognuna derivata dalla lavorazione di un quintale di latte), un passaggio importante è quello della foratura con grossi aghi metallici, per permettere l'entrata dell'aria nella pasta e favorire lo sviluppo (erborinatura) del Penicillium glaucum, il quale determina la formazione delle caratteristiche venature blu-verdi che rendono questo formaggio inconfondibile.
 
Dai caseifici e dalle cooperative agricole, le forma di Gorgonzola fresche passano per la stagionatura in grandi e moderne celle frigorifere.
 
Il formaggio è pronto per essere consumato circa 60 o 90 giorni dalla sua produzione, a seconda che il Gorgonzola sia dolce o piccante.
 
Ogni forma di Gorgonzola, marchiata all'origine, riporta l'indicazione del produttore ed è avvolta in fogli di alluminio recanti, in rilievo, il marchio del Consorzio di tutela.
 
Ora è uno dei pochi formaggi italiani ad avere ottenuto la cosiddetta Dop, denominazione di origine protetta, riconosciuta a livello europeo.
 
Fino a qualche anno fa lo si denominava "Gorgonzola Naturale", un aggettivo che non intendeva tracciare di innaturalità il suo fratello minore, quel "Gorgonzola Dolce" nato una quarantina di anni fa e oggi largamente diffuso su tutte le tavole italiane: semplicemente l'accenno a Madre Natura ne sottolineava le antiche origini, e rimandava al periodo non troppo lontano in cui di Gorgonzola ce n'era uno solo, per l'appunto il Piccante, oggi nettamente minoritario a causa del gusto medio poco avvezzo ai sapori forti e decisi "di una volta".
 
L'ultimo atto di questo lungo processo consiste nell'accompagnare in tavola il Gorgonzola con gli abbinamenti ideali: per esempio un bicchiere di Ghemme invecchiato, o qualche cucchiaiata di mostarda di frutta, che ne esalterà il complesso sapore. Senza dimenticare che per i contadini novaresi il Gorgonzola era la suprema risorsa per insaporire la polenta di tutti i giorni.
 
Il gorgonzola trae le sue origini in epoca remota, non facilmente determinabile a causa, forse, della scarsa importanza commerciale che esso ebbe ai suoi albori. Oppure perché nei tempi antichi gli scambi erano per lo più limitati al baratto o all'autoconsumo locale.
 
Secondo alcuni studiosi il gorgonzola potrebbe essere un semplice "perfezionamento" del cacio: in questi termini sembra infatti menzionarlo, nel suo testamento, l'arcivescovo milanese Ansperto da Biassono (resse la diocesi dall' 868 all' 881). Altri affermano che il gorgonzola sarebbe originario della località omonima alle porte di Milano (sarebbe citato già dall' 879), oppure di Pasturo, nella Valsassina, grande centro caseario da secoli. In questa zona la perfetta riuscita del gorgonzola, così come di vari altri formaggi, sarebbe attribuibile alla presenza (e all'utilizzo) di ottime grotte naturali, la cui temperatura media è costante tra i 6 °C e i 12 °C: ideali per la stagionatura. (*)
 
La leggenda, invece, vuole che la nascita del Gorgonzola sia legata al capriccio d'amore di un casaro, il quale, per attardarsi con la sua bella, avrebbe rimandato all'indomani il lavoro della giornata, e, mescolando la cagliata della sera precedente con quella della mattina, avrebbe ottenuto un formaggio mai prodotto prima.
 
Originariamente questo formaggio era conosciuto come "stracchino di Gorgonzola", ossia cacio prodotto con latte di vacche "stracche" (stanche) perché di ritorno dagli alpeggi.
 
Esistono due versioni di Gorgonzola: una piccante e una dolce. Il piccante si differenzia dal dolce per le venature blu/verdi più accentuate, per la consistenza della pasta, per il gusto più forte, per le differenti colture innestate e per un periodo di stagionatura più lungo.
 
Prima del consumo, è consigliabile lasciare questo formaggio a temperatura ambiente per almeno mezz'ora: in tal modo se ne esalteranno il gusto e le caratteristiche organolettiche. Il Gorgonzola si presta alla realizzazione di ottime salse e di gustose creme aggiungendo in cottura burro o panna da cucina. Questo tipo di utilizzo ne consente anche il recupero quando, a causa della lunga permanenza in frigorifero, acquista un sapore un po' troppo deciso. Il Gorgonzola piccante si abbina bene ai vini rossi importanti quali il Ghemme Docg, il Fara, il Boca e il Sizzano Doc e con un certo invecchiamento, ma anche a un Moscato passito liquoroso o a un Marsala vergine (quest'ultimo può accompagnare felicemente anche la versione dolce). Il Gorgonzola dolce invece predilige vini bianchi o rossi caratterizzati da una certa morbidezza e sapidità.
 
Il Gorgonzola è un alimento "vivo", in continua maturazione. Per questo è consigliabile acquistarne piccole quantità, da avvolgere in fogli di stagnola o alluminio e riporre in appositi contenitori nella parte inferiore del frigorifero. Per grosse quantità, invece, è consigliabile tagliare il formaggio in fettine sottili, avvolgerlo in fogli di alluminio, riporlo nel congelatore e, di volta in volta, farlo scongelare nel frigorifero. Per evitare che l'odore caratteristico del Gorgonzola si diffonda nel frigo, la soluzione è semplice: basta asportare la crosta e avvolgere il formaggio in alluminio o tenerlo nella vaschetta salva sapore, perché molte volte è proprio la crosta la causa delle caratteristiche e penetranti esalazioni non sempre gradite.
 
Il processo di produzione non differisce molto sia che si tratti della varietà dolce che di quella piccante. Il Gorgonzola si ricava da latte vaccino intero pastorizzato che viene versato in caldaie con l'aggiunta di fermenti lattici, caglio e spore di penicillium. A coagulazione avvenuta, la cagliata viene rotta e prima depositata sugli spersori e poi sistemata entro i fassiroli per lasciare fuoriuscire il siero. In seguito le forme vengono girate e marchiate su entrambe le facce. Si passa quindi alla fase della salatura, in celle a 20-22°C con il 90-95% di umidità, e dopo 3-4 giorni, alla stagionatura, che non dura meno di 60 giorni. Fra la terza e quarta settimana, ha luogo la foratura per mezzo di grossi aghi metallici che penetrano le forme su tutti i lati così da permettere all'aria di entrare nella pasta e sviluppare le colture già innestate nella cagliata e creare le condizioni ottimali per lo sviluppo del penicillium glaucum. A stagionatura ultimata, la forma viene tolta dalle fascette di legno, tagliata in due o ulteriormente frazionata e rivestita di alluminio goffrato, la cui funzione è ridurre il calo provocato dall'evaporazione, difendere la crosta dalle rotture e screpolature e salvaguardare nel trasporto e nel tempo le preziose caratteristiche organolettiche del formaggio.
 
 
Riso
 
Il mondo della Bassa si incarna nella risaia, nella coltura del riso dalla quale nasce un piatto che appartiene solo ai novaresi: non un semplice risotto ma la "paniscia"; una semplice preparazione che rispecchia la schiettezza della gente novarese.
 
Il nome "paniscia" deriverebbe dal fatto che in origine al posto del riso si usava il panìco, cereale di scarso pregio simile al miglio.
 
La "paniscia" era il piatto superlativo, delle festività e delle grandi occasioni ma non solo, è anche un atto di poesia, perché nel riso ci deve essere la serenità delle verdi risaie, nelle verze la brina delle albe nebbiose, nei fagioli la compattezza e il gusto sapido della feconda terra del vino, senza dimenticare la presenza del salame.
 
Questo piatto era il simbolo dell'alimentazione e della vita dei contadini che non dicevano di lavorare per guadagnarsi "la vita" o "il pane" ma per guadagnarsi "la paniscia", per assicurare ai figli "un piatto di paniscia".
 
Era anche espressione e simbolo di amicizia, dire che due persone "facevano" o "mangiavano assieme la paniscia" equivaleva ad affermare la loro sicura ed indissolubile amicizia.
 
Della paniscia esiste una ricetta base, ma ogni massaia lo preparava secondo l'abitudine locale ed i gusti dei famigliari.
 
Il riso non rientrava solo in questa preparazione ma anche in altre specialità, ricordiamo ad esempio il riso con i fagioli o con le rane.
 
I vecchi adagi ricordano che "il riso si fa aspettare, ma non aspetta" e che "il riso nasce nell'acqua e muore nel vino".
 
 
Vini
 
Il vino di queste terre vanta una storia millenaria: BIBE VIVAS MULTIS ANNIS - Bevi che campi cent'anni! è il motto che compare su di una   coppa vitrea risalente al IV-V secolo, rinvenuta nel 1675 nelle campagne attorno a Castellazzo. I vini delle colline novaresi, già celebrati da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia (I sec. d.C.), sono fra i più noti del Piemonte e rappresentano la sintesi della più antica tradizione viti-vinicola della regione. Boca, Fara e Sizzano sono vini D.O.C. a lungo invecchiamento; fra questi spicca in particolare il prestigioso Ghemme D.O.C.G.
 
Sono tutti vini di gran corpo ottenuti dai vitigni tradizionali delle colline: Nebbiolo, Vespolina e Uva Rara. La carta dei vini, in grado di soddisfare i più raffinati palati, si completa con l'ampia giovane gamma D.O.C. Colline Novaresi, vini bianchi e rossi ottimi da gustare con antipasti, primi piatti, secondi a base di pesce e carne.
 
 
Salumi
 
In passato l'animale da carne dei contadini novaresi era soprattutto il maiale, trasformato nei salamìn d'la duja e nelle fideghine.
 
"Salume" nel Basso Novarese è quasi sinonimo di salamìn d'la duja, una piccola salsiccia conservata cruda sotto strutto in orci di terracotta (chiamati appunto "duje"): al naturale, morbido e pastoso grazie al grasso in cui è rimasto avvolto, è consumato come antipasto, cotto entra in diverse ricette tradizionali, prima di tutte la paniscia. Quello sotto grasso è uno dei sistemi di conservazione più antichi e più diffusi prima dell'introduzione della refrigerazione artificiale.
 
Il salam d'la duja si ottiene con un trito misto di carni scelte e magre (spalla, coppa e ritagli di coscia) e di grasso di lardo o di pancetta. La concia è costituita da sale, pepe, spezie e aglio schiacciato nel mortaio e bagnato nel vino, si insacca e si pone ad asciugare per alcuni giorni (anche due settimane) in luoghi freschi e ventilati, a questo punto i salumi sono introdotti nella duja. Lo strutto fuso che li ricopre, raffreddando, si solidifica proteggendoli dall'ossidazione. Di solito la stagionatura varia dai tre mesi a un anno: sotto grasso, il salame acquista un gusto piccantino e rimane morbido.
 
Sorella del salamìn d'la duja è la fideghina, piccola mortadella di fegato che costituiva la merenda o il pranzo dei lavoratori durante le vendemmie nella zona collinare.
 
Meno caratteristica del salame d'la duja ma altrettanto diffusa è la produzione di salumi classici e dei cosiddetti "marzapani" o "sanguinacci", questi ultimi vengono confezionati con il sangue del maiale unito a pezzetti di lardo, pane grattugiato, spezie, aglio e vino. Altrettanto diffuso è l'utilizzo della carne d'oca: sfruttata nella preparazione di alcuni piatti tipici, è anche ingrediente base di un salume in cui essa viene lavorata con pancetta di maiale, vino bianco o marsala.
 
Queste specialità entrano nella preparazione di alcuni piatti tipici del Novarese, oltre alla paniscia , ricordiamo la cassola e la rustida.
 
La cassola, presente anche sul territorio lombardo, è un piatto a base di verza, puntine di maiale e carne d'oca. La rustida invece è un piatto tipico di Oleggio, dove la cipolla e la salsa di pomodoro completano la rosolatura di pezzetti di cuore, polmone, salsiccia e lombo di maiale.
 
 
Ciccioli
 
Com’è noto, del maiale non si butta via niente, e anche le parti meno pregiate possono riservare sorprese appetitose. E’ il caso dei ciccioli (chiamati anche sfrizzoli, greppole, lardinzi, siccioli e in molti altri modi a seconda della zona), un sottoprodotto della lavorazione del maiale che si trasforma in una vera e propria leccornia.
 
Al momento della macellazione, dopo aver scotennato (ossia spellato) l’animale, si estrae il tessuto adiposo sottocutaneo (dello spessore di alcuni centimetri) per ricavarne lo strutto, un tempo utilizzato al posto del burro e dell’olio in cucina e oggi presente soprattutto nella produzione dolciaria.
 
Questo tessuto è costituito da grassi (lo strutto), acqua e da una struttura proteica che li avvolge: viene tagliato a cubetti larghi circa 5 cm e fatto bollire in un grosso calderone per diverse ore (anche cinque o sei) durante le quali il grasso si separa dalle proteine e l’acqua evapora.
 
A questo punto i cubetti galleggiano nel proprio grasso e iniziano a soffriggere: quando sono ben rosati vanno estratti, strizzati e torchiati per privarli della maggior parte del grasso. La strizzatura può essere più o meno intensa a seconda della consistenza che si vuole dare ai ciccioli: più si spremono e più diventano croccanti.
 
In alcune località si usa pressarli insieme a caldo con degli aromi per ottenere una specie di salume.
 
Il risultato finale è costituito da pezzetti di carne di color marroncino più o meno intenso, ricchi di grasso e molto saporiti. Possono essere consumati tal quali (sono particolarmente gustosi appena fatti e ancora caldi), magari accompagnati alla polenta oppure entrare come ingredienti di pane, focacce, altri prodotti da forno, frittate, sughi e torte salate.
 
In alcune zone della Lombardia (particolarmente nel pavese) si usa anche preparare i ciccioli d’oca, seguendo più o meno la stessa procedura adottata per il maiale; in questo caso, però, oltre alle strutture cartilaginee i ciccioli contengono anche dei pezzetti di carne vera e propria.
 
Il gusto risulta più leggero e delicato rispetto a quello dei ciccioli suini, pertanto sono abitualmente gustati conditi con sale e pepe; il consumo deve avvenire rigorosamente entro una settimana dalla preparazione.
 
Che siano di maiale o d’oca, i ciccioli sono comunque un alimento molto calorico (circa 500 calorie per 100 gr.) ad altissimo contenuto di grassi saturi e colesterolo. Sono presenti anche sostanze non digeribili, risultato della lunghissima cottura che tende a degradare i grassi stessi: la digestione potrebbe quindi risultare piuttosto difficoltosa.
 
E’ opportuno pertanto limitarne drasticamente il consumo, mangiandoli solo occasionalmente (ad esempio durante le numerose sagre dedicate al maiale).
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